Io, n° 1211

Io n 1211Aisseco è lieta di pubblicare la recensione a cura di Stefano Citterio del libro  Io, n° 1211 di Dagmar Šimková.

Fin dai tempi delle “Mie prigioni” di Silvio Pellico la memorialistica carceraria ha attirato l’interesse dei lettori, sia di quelli semplicemente interessati agli aspetti più crudi o morbosi delle varie esperienze, sia di quelli attenti a cogliere il minimo particolare, per arrivare ad una generale condanna del regime che aveva incarcerato il – o la malcapitata.  Il libro di Dagmar Šimková, Io n°1211 (titolo originale Byly jsme tam taky, letteralmente “C’eravamo anche noi”, dal quale, nel 2011, il regista Vojtěch Bárta ha ricavato una pièce teatrale), edito recentemente dalle edizioni Paoline nell’eccellente traduzione di Tiziana Menotti e con un’esauriente e precisa Introduzione di Alessandro Vitale, alla quale si uniscono rilevanti presentazioni di storici, registi e scrittori cechi, si distacca da altre testimonianze del genere non solo perché per la prima volta è stato tradotto in italiano un testo che fa riferimento alle carceri cecoslovacche degli anni più bui del regime, vale a dire nei primi anni Cinquanta, quando il regime di Gottwald si caratterizzava per una repressione spietata di qualunque forma di dissenso – superando in durezza e ferocia altri regimi dello stesso colore politico nell’est Europa – ma anche per la singolarità dell’esperienza dell’allora giovane ragazza praghese”.

 

 

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