Cathie Carmichael
Bosnia e Erzegovina
Alba e tramonto del secolo breve
In questa Storia della Bosnia confluiscono, come in una sintesi di correnti
culturali del nostro tempo, la missione cristiana e la vocazione ecumenica
dei frati minori francescani nei Balcani, la dialettica fra l’esotismo coloniale
asburgico e l’eredità culturale della secolare dominazione ottomana in
Bosnia, il furore genocida scatenato dal fascismo ustasˇa del poglavnik
erzegovese Ante Pavelic´ per attuare il suo piano di una Grande Croazia (che
avrebbe dovuto comprendere anche la Bosnia e l’Erzegovina ma senza i loro
abitanti serbi); l’ispirazione della teoria psicoanalitica della pulsione di
morte (Mortido) che Sigmund Freud riconobbe per la prima volta nel 1898
proprio durante un viaggio in Erzegovina (Trebinje), l’orgogliosa riscossa
della Resistenza comunista dell’esercito multietnico di Tito, che proprio
dalla Bosnia orientale iniziò la lunga, difficile e sofferta lotta di liberazione
dall’occupazione nazi-fascista e che vide nascere una nuova coscienza del
ruolo delle donne nella lotta partigiana e nella costruzione di una società
nuova, più paritaria e più giusta; le prime apparizioni mistico-apocalittiche
della Signora (Gospa) a Medjugorje (1981); le teorie pseudoscientifiche
sull’“indole dei popoli balcanici” elucubrate da sedicenti intellettuali e
psichiatri e il rigore scientifico delle analisi del DNA delle vittime del genocidio
di Srebrenica; il principio titoista della “Fratellanza e Unità” posto alla
base della Federazione jugoslava; l’esplosione di gioia pop della sintesi
etnorock dei Bijelo Dugme, il più importante fenomeno musicale di massa
jugoslavo degli anni settanta e ottanta; il grande afflato epico del Ponte sulla
Drina del premio Nobel Ivo Andric´, le Olimpiadi invernali di Sarajevo del
1984, il superomismo genocida degli ideatori della “pulizia etnica” che
avrebbero voluto ridisegnare un paese a tavolino, spazzando via – se
necessario a raffiche di kalasˇnjikov – le popolazioni indesiderate; la prima
clamorosa manifestazione dell’indolente impotenza dell’Europa; la cinica
compiacenza dell’Occidente nei confronti dei nazionalismi degli Stati nati
dalla dissoluzione della Jugoslavia socialista (quasi si trattasse di una nuova
“Primavera dei popoli”)… L’arco di “secolo breve” (secondo la definizione di
Eric Hobsbawm) della storia bosniaco-erzegovese che va dall’attentato di
Sarajevo (28 giugno 1914) alla firma degli Accordi di Dayton (14 dicembre
1995) sembra riassumere, in una ridda parossistica e fratricida, tutte le
principali correnti culturali, sociali e politiche del Novecento europeo,
evidenziandone impietosamente l’inadeguatezza e l’illusorietà. Il merito di
Cathie Carmichael è di aver saputo raccogliere e ordinare tutte queste fila
scrivendo così quella che è anche una breve storia del cuore della Jugoslavia.
Cathie Carmichael Dirige la Scuola di Storia dell’Università dell’East Anglia a Norwich
(UK). È autrice di molti studi di storia contemporanea, fra cui: Slovenia and the
Slovenes, Ethnic Cleansing in the Balkans: Nationalism and the Destruction of Tradition,
Genocide before the Holocaust