Giorgio Martinuzzi: figura e ruolo politico di un monaco-statista dalmata nella storia ungherese del Cinquecento

Recensione del libro Giorgio Martinuzzi: figura e ruolo politico di un monaco-statista dalmata nella storia ungherese del Cinquecento, di Adriano Papo, con la collaborazione di Gizella Nemeth Papo, Savaria University Press, Szombathely 2011, a cura di Antonio Donato Sciacovelli

Quinto “anello” della collana di studi e documenti che i curatori hanno voluto intitolare Civiltà della Mitteleuropa, è stata data alle stampe nella seconda metà del 2011 la “biografia ragionata” di Giorgio Martinuzzi, che a buon (?) titolo è considerato uno dei protagonisti più interessanti dei rapporti italo-ungheresi nel sedicesimo secolo. Dopo quattro “uscite” che ci hanno permesso di leggere gli atti di altrettanti convegni tutti incentrati su tematiche culturali e storiche, peraltro legate all’attività dell’Associazione Culturale Italoungherese «Pier Paolo Vergerio» (I cent’anni di Attila József. L’uomo, il poeta, il suo tempo, 2005; Mazzini e il mazzinianesimo nel contesto storico centroeuropeo, 2005; I Turchi, gli Asburgo e l’Adriatico, 2007; Unità italiana, indipendenza ungherese. Dalla ‘Primavera dei popoli’ alla ‘finis Austriae, 2009), questa si sofferma su un solo nucleo argomentativo, a cui l’autore ­– Adriano Papo, coadiuvato da Gizella Nemeth Papo – dedica un’opera di imponenti dimensioni (più di mezzo migliaio di pagine) divisa in quattro capitoli e abbondantemente fornita di apparati a futura soddisfazione dei lettori più attenti all’approfondimento. Giorgio Martinuzzi? Chi era costui? diciamo parafrasando Manzoni: Giorgio Martinuzzi Utyeszenics (frate Giorgio) fu vescovo di Várad, primate d’Ungheria, cardinale, sommo tesoriere, giudice supremo, comandante militare, luogotenente regio in Ungheria e in Transilvania. Nato nel 1482 nel castello di Kamičac (Kamačić), in Croazia, possiamo associarlo a quella complessa categoria di uomini che nel corso dei secoli passati (ma speriamo ve ne saranno anche nei prossimi!) seppero appartenere a più culture, in questo caso anche in virtù delle vicende storiche che videro sempre la regione di provenienza di Frate Giorgio contesa tra Venezia e l’Ungheria. Contemporanei e storici lo descrivono come un personaggio geniale, astuto e potente, uno statista molto capace e autorevole, uno dei più ragguardevoli statisti magiari della sua epoca, eppure – come sovente accade – i giudizi dei contemporanei di Martinuzzi non furono in genere molto lusinghieri nei suoi confronti, tanto da condizionare anche quelli di molti storici, sia coevi che posteriori. La presente biografia di Martinuzzi si pone l’obiettivo di analizzare, sine ira et studio, il ruolo da lui svolto nella storia e nella politica ungherese degli anni 1534-1551, ovverosia del periodo storico che va dalla morte di Ludovico Gritti (1534) – di questo altrettanto complesso e “chiacchierato” la coppia Papo-Nemeth Papo si occupò in una monografia apparsa nel 20021 – fino alla morte dello stesso Giorgio Martinuzzi (1551). Tale periodo è caratterizzato dai negoziati per il trasferimento alla Casa d’Austria della parte di regno che, dopo Mohács, era rimasta sotto la giurisdizione di Giovanni Zápolya, e che sarebbe passata dopo la sua morte sotto quella della vedova Isabella Jagellone. Impossibile leggere quelle vicende politiche – che per motivi intrinseci non si possono assolutamente definire strettamente „ungheresi“ – senza inquadrarle in una più ampia cornice di storia europea, in cui hanno grande importanza le ripercussioni delle guerre tra Carlo V e Francesco I, della situazione politica dell’area balcanico-danubiana, della situazione religiosa dell’Impero, dei progetti di crociata antiottomana. Una serie di eventi di grande rilievo per la storia diplomatica, militare, politica ed economica della regione, che videro Martinuzzi coinvolto come protagonista, ma non per questo significarono altrettante vittorie del monaco-statista, sicuramente a causa delle ricorrenti discordie che scoppiarono con la regina Isabella. Pertanto Martinuzzi dovette assistere all’accordo tra quest’ultima e il principe Giovanni Sigismondo, con cui si trasferivano a Ferdinando d’Asburgo e ai suoi eredi i diritti sul Regno d’Ungheria e sulla Transilvania. La Porta però non riconobbe quanto stabilito a Gyulafehérvár, che in quel periodo (1542) divenne capitale della Transilvania (lo fu fino al 1690) e mandò un suo esercito nel Banato per restaurare lo status quo. Accadde dunque che proprio durante la campagna militare contro gli ottomani Giorgio Martinuzzi venne accusato di connivenza col nemico: ciò avrebbe segnato la sua condanna a morte. Su ordine di Ferdinando, il generale Castaldo lo fece assassinare in maniera efferata nel suo castello di Alvinc la mattina del 17 dicembre 1551. Ferdinando e i suoi complici verranno poi tutti assolti con formula piena, ancora una volta ripetendo i meccanismi tristemente in uso in quel periodo, fatto di crudeli appelli alla ragion di stato. In realtà, la storia del Regno d’Ungheria e della sua regione d’influenza, fino al periodo considerato dagli autori, si complica a partire dalla morte di Mattia Corvino (1490), e viepiù con la rotta di Mohács (agosto del 1526), quando il Regno si trova senza più spina dorsale: di lì a poco lo stato si sfalda sotto la pressione ottomana e in conseguenza delle lotte politiche dei vari pretendenti a quello che dello stato fondato da Santo Stefano restava, ma proprio il filo conduttore di questa biografia mette in luce quanto le vicende storiche e politiche del Regno d’Ungheria e della Transilvania (nel periodo storico considerato) fossero strettamente intrecciate con quelle personali di Giorgio Martinuzzi, di cui si sottolinea l’importanza nelle trattative per la cessione della Transilvania alla Casa d’Austria e, più in generale, nella politica ungherese degli anni 1534-51. Non di poco conto sono le altre unità tematiche e problematiche, che vogliono considerare più obiettivamente il motivo del delitto politico e le ragioni della sua efferatezza, contribuendo a meglio delineare la figura del frate partendo dal confronto con quella ricostruita in base ai giudizi della storiografia. Tutto ciò viene portato avanti con grande perizia, se consideriamo il gran numero di fonti, documenti, giudizi, scritti di varia natura, che lo spoglio preliminare alla ricerca ed alla compilazione dell’opera, hanno preso in considerazione (e di cui troviamo dettagliato inventario nel puntuale apparato che segue la trattazione vera e propria), ma anche con una vena narrativa che ci rappresenta viva e vivace questa figura di grande accentratore del potere: in virtù dei suoi titoli di tesoriere, luogotenente, voivoda, giudice supremo, comandante supremo dell’esercito, vescovo (e alla fine della vita anche arcivescovo e cardinale), tutore del figlio di Giovanni Zápolya, Martinuzzi poté guidare e controllare l’erario, l’amministrazione, l’esercito, la giustizia, concedendo dignità, possessi e privilegi, convocando e presiedendo le Diete sia in Transilvania che nell’Oltretibisco, controllando oltre al vescovado di Várad anche quelli di Csanád, di Vác e di Transilvania. Non dimentichiamo, inoltre, che egli ebbe altresì nelle sue mani il futuro del giovane principe Giovanni Sigismondo, e che con grande abilità diplomatica riuscì a imporre la propria supremazia agli Ordini. Ne esce la descrizione di un ‘principe’ assoluto, contrastato nell’esercizio del potere soltanto dalla regina Isabella e dai suoi consiglieri, che lo consideravano un usurpatore del regno (e che riuscirono a tramandare questa fama a gran parte dei posteri). Accanto alla sete (ampiamente saziata, peraltro) di potere, non dobbiamo dimenticare di questo periodo gli aspetti culturali, poiché Frate Giorgio si può definireuomo del Rinascimento anche per la sua versatilità: nonostante non fosse amante del lusso e della pompa – come furono molti ‘principi del Rinascimento’ –, ma piuttosto parco e sobrio, pure corrispondeva con personaggi del taglio – umanistico – di Antonio Veranzio, era promotore delle arti, dell’editoria transilvana (in particolare ne trasse giovamento l’industria della stampa della città di Kolozsvár, oggi Cluj-Napoca), insomma crediamo valga la pena di riscoprirlo nella giusta luce, caleidoscopica, che questo imponente volume proietta su un capitolo spesso giudicato tout court sull’onda di emozioni non sempre sostenute dai fatti.

Antonio Donato Sciacovelli

Università dell’Ungheria Occidentale, Polo di Szombathely, Ungheria

1 G. Nemeth Papo e A. Papo, Ludovico Gritti. Un principe-mercante del Rinascimento tra Venezia, i Turchi e la Corona d’Ungheria, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli (Gorizia) 2002.

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