L’ultima favola russa
È con una verve straordinaria, e con un punto di vista originalissimo, che Francis Spufford racconta la storia dell’Unione Sovietica tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Una serie di personaggi veri e inventati, giovani scienziati brillanti, strateghi di partito, normalissime famiglie, coppie di innamorati, si muovono sullo sfondo di vicende storiche ben documentate per darci il quadro generale di un periodo intricato, spesso falsato dalla propaganda politica: la corsa dell’«economia pianificata» in gara con quella americana per il primato di ricchezza e progresso.
Spufford ci dice subito che la sua è una riedizione dell’eterna fiaba russa: ai tappeti volanti, alle cornucopie traboccanti di cibo, ai prodigi di ogni genere che hanno allietato per secoli la vita tutt’altro che facile dei contadini, degli operai e dei servi della Grande Madre Russia, Spufford sostituisce un miracolo unico, una speranza unica, un sogno unico, quello della straordinaria ricchezza a venire prodotta dal Partito e dallo sforzo comune sotto la sua guida. Un sogno destinato a eclissare quello americano: Mosca più splendente di Manhattan, le Lada più affidabili delle Ford, gli Sputnik primi nella gara per la conquista dello spazio. L’ultima favola, e il lieto fine: benessere per tutti, capitalisti verdi d’invidia.
Il racconto comincia con un personaggio reale, Leonid Kantorovič , matematico geniale, premio Nobel per l’economia: è il 1938, il giovane Leonid è a Mosca, in tram, pensa a come ottimizzare la produzione di compensato e… a come comperarsi un paio di scarpe nuove. Un altro personaggio ben noto, Nikita Krusciov, sta sorvolando l’Atlantico con un Tupolev, diretto per la prima volta negli Stati Uniti, quando si accorge che c’è il rischio di un incidente diplomatico già all’aeroporto di Washington…
E poi le storie, tragiche, comiche, tragicomiche, di Emil, Galina, Fyodor, Zoya, personaggi «inventati ma veri», che rappresentano la generazione stregata dalla promessa del «radioso avvenire». Fino al 1968, quando Zoya viene espulsa dal laboratorio di ricerca di Akademgorok, sul mare di Ob’, per aver firmato una lettera di protesta pubblicata dal «New York Times».
L’autore racconta la storia di un’idea con un tono leggero, spesso ironico: il dramma di un popolo che crede nelle favole prende forma da solo, senza bisogno di enfasi, di commenti seriosi, di scene tragiche. Spufford sa intrattenere il lettore senza tregua. Pura magia.
Francis Spufford è docente al Goldsmiths College di Londra. Nominato nel 1997 Giovane scrittore dell’anno dal «Sunday Times», è autore di I Maybe Some Time. Ice and English Imagination (1996), vincitore del Somerset Maugham Award; di The Child That Books Built (2002), antologia letteraria sui testi di formazione per ragazzi; di Backroom Boys. The Secret Return of the British Boffin (2003) finalista per l’Aventis Prize; e di Unapologetic. Why, Despite Everything, Christianity Can Still Make Surprising Emotional Sense (2012), un saggio sul senso dell’essere cristiani oggi. L’ultima favola russa ha vinto l’Orwell Prize 2011.