Giulia Lami recensisce Aldo Ferrari, Storia della Crimea

Storia della Crimea. Dall’antichità a oggi

Aldo Ferrari, Storia della Crimea, il Mulino, Bologna, 2022, 226 p.

Uno dei paradossi – o delle tragedie – che stiamo vivendo è il fatto che l’attesa Storia della Crimea di Aldo Ferrari – uno dei suoi massimi conoscitori – esca in un momento dove della Crimea si parla come la posta ultima della guerra sanguinosa innescata dall’invasione russa dell’Ucraina.
Il libro è stato concepito ben prima ed è frutto di studi e riflessioni che Ferrari ha dedicato per molti anni alla storia della contestata penisola. Del libro non si può che lodare l’impianto, il coraggio di una prospettiva diacronica, che lega in una analisi a tutto tondo, il periodo delle steppe, della cultura dei Kurgan per intenderci, al XXI secolo, mettendo in luce aspetti che, seppur evidenti, molto spesso non emergono come dovrebbero.
Va anche segnalata l’ottima bibliografia, per quanto forzatamente essenziale, dato il formato della collana de il Mulino “Vie della civiltà”, in cui l’opera è inserita.

Elenco, per comodità del lettore, i punti che a mio avviso sono i più originali:
a) La storia della Crimea è ampiamente determinata dalla sua particolare posizione geografica – tra l’Eurasia e il Mar Nero – il che la colloca nello spazio storico-culturale del Mediterraneo. Non sempre questo legame con lo spazio del mare nostrum è valorizzato, ma è fondamentale.
b) La Crimea è del resto un luogo cruciale dell’incontro tra i popoli dell’Eurasia e quelli del Mediterraneo e questo fatto si riflette nel suo popolamento.
Mai come in questo caso si può applicare il concetto di multietnico e plurireligioso quale costante da un’epoca all’altra, nonostante i tentativi propri dell’epoca contemporanea per l’omogeneizzazione forzata, etnica, innanzitutto, ma anche culturale al modello dominante.
c) Abbiamo a che fare con un ambiente umano stratificato, complesso, affascinante.
Nel corso della sua lunga storia la regione è stata abitata infatti da numerosi popoli, tra i quali Tauri, Cimmeri, Sciti, Greci, Goti, Bizantini, Ebrei, Armeni, Genovesi, Tatari, Russi.
Dove al mondo si potrebbe pensare di trovare monumenti sciti e greci, città rupestri, chiese cristiane (soprattutto ortodosse e armene), templi ebraici, fortezze genovesi e ottomane, moschee e palazzi dei khan tatari, residenze della nobiltà russa, basi navali sovietiche?
d) Il ruolo principale in questa storia spetta a Tatari e Russi, che hanno dominato la Crimea gli uni dopo gli altri, continuando i primi ad abitarla sino ai nostri giorni, a parte il doloroso periodo della deportazione di epoca sovietica.
I Tatari hanno fondato il primo e unico Stato incentrato sulla Crimea e le hanno dato il nome che la penisola porta ancora oggi, dalla parola turca kırım, roccia o fortezza; i Russi hanno invece attribuito a questa regione un significato di eccezionale importanza tanto nella sfera culturale quanto in quella strategica.
e) La Crimea è un luogo estremamente denso di simboli e miti culturali, controversi o conflittuali, ma da conoscere e da capire, perché essa diventa un prisma attraverso il quale studiare molti fenomeni all’incrocio fra geografia antropica, storia e letteratura, geopolitica e, purtroppo, polemologia.

È una penisola cruciale, ambita, su cui si appuntano gli sguardi di Ucraini, Russi, Turchi, ognuno portatore di sue ragioni per volerne il controllo, in una qualche misura.
f) Molto denso e interessante è il primo capitolo, per la quantità di informazioni finalmente riunite in un quadro coerente.
Segnalo il paragrafo sulla “Crimea italiana” d’epoca medievale, in cui Genova e Venezia svolsero un ruolo sia economico sia politico fondamentale, mentre si contendevano il dominio delle città costiere. Prevalsero i Genovesi, che continuarono a controllare buona parte della vita economica della Crimea, anche dopo che che questa, nel primo quarantennio del XIII secolo, fu investita dall’arrivo dei Mongoli e dei Tatari, popolazione sottomessa ai Mongoli: basti pensare che nel 1266 i Genovesi ricevettero dai Mongoli anche la concessione della città di Caffa.
Ferrari ricostruisce le vicende dei rapporti fra i vari attori, e cioè Genovesi, Veneziani e Mongoli nei momenti positivi e negativi. Interessante come si delinea il mosaico delle fedi e confessioni religiose nella Crimea di epoca mongola che sarà un tratto caratteristico della penisola.

Affascinante il rimando all’esistenza del principato di Teodoro nel XV secolo, nei territori sud-occidentali e montuosi della Crimea meridionale, etnicamente composito, ma di fede ortodossa.
Questa situazione di coesistenza tra diverse realtà etniche e politiche non fu sostanzialmente modificata neppure dalla nascita, nel 1441, del khanato di Crimea per opera di Hacı Giray, un discendente di Gengis Khan che approfittò del declino dell’Orda d’Oro per rendersene indipendente e fondare una dinastia che per oltre tre secoli avrebbe governato la penisola e vasti territori più a nord.

La descrizione della vita crimeana fa giustizia di molti luoghi comuni sull’oppressività del giogo mongolo-tataro cui si unisce l’idea errata di una povertà culturale e mancanza di raffinatezza.
Certo, è innegabile la piaga del commercio degli schiavi che si fondava su razzie ai danni di Polacchi e Russi e senz’altro il proposito di metter fine a questa pratica fu uno dei moventi della conquista russa della Crimea.

h) Sul periodo “russo” dal suo affermarsi, dopo decenni di lotte, con Caterina II molto c’è da dire e ben lo descrive Ferrari, sottraendosi a tanti stereotipi negativi posteriori.
Egli infatti, nella prospettiva già di Kappeler, illustra il pragmatismo dei russi, la capacità di cooptare le élites laiche e clericali e ottenerne la lealtà nel quadro imperiale; insomma, quell’insieme di buone pratiche tipiche dei grandi imperi che ci permettono di comprendere, anche a partire dal modello crimeano, il funzionamento dell’Impero zarista. Senz’altro, si nota l’impulso all’europeizzazione, di cui i Tatari pagarono lo scotto – basti pensare alla limitata attenzione che ricevette la preservazione, fra l’altro, della loro architettura – anche se, come altri, ne beneficiarono.

i) E a proposito del “prezzo della modernità” è ottima la descrizione che Ferrari offre della Guerra di Crimea e delle sue conseguenze.
l) L’aspetto importante della Crimea come topos della cultura e letteratura russa di Ottocento e Novecento è ben trattato, sia pur nei limiti concessi da un’opera di sintesi.
m) Dell’epoca rivoluzionaria e sovietica, vorrei solo accennare a un aspetto importante.
Al di là delle violenze che subirono tutte le popolazioni, ho trovato molto interessante la ricostruzione della nuova politica delle nazionalità con il privilegio accordato a quella tatara, individuata come la vittima delle politiche zariste, negli anni ’20, che segnano un periodo aureo per il fiorire della coscienza e identità tatare. E poi a seguire la cesura dell’epoca stalinista, dove il generale e il particolare trovarono in Crimea, ancora una volta, una specifica miscela.
Il problema della “detatarizzazione” staliniana della Crimea è trattato molto bene da Ferrari, in tutti i suoi contraddittori aspetti e fa giustizia di molte ipersemplificanti ricostruzioni storiografiche.
n) Nel 1945 la Crimea cessò di esistere come repubblica autonoma e venne declassata a regione ordinaria (oblast’) della Repubblica sovietica russa. Mentre si cancellava il ricordo dei tatari – un culturicidio vero e proprio – si rafforzava il mito di Sebastopoli, recuperando la guerra di Crimea e quella patriottica, in una visione fortemente ideologica, che, secondo me, è molto viva ancor oggi.

Del resto, nell’ambito dell’incipiente Guerra fredda Sebastopoli riacquistò una grande importanza strategica come base principale della flotta del Mar Nero.
o) E veniamo al controverso passaggio della penisola all’Ucraina nel 1954.
Ho apprezzato la precisione con cui Ferrari analizza i retroscena di questa decisione e la sua importanza. E condivido la sua affermazione che se da un punto di vista geografico ed economico l’inserimento della Crimea all’interno dell’Ucraina appare in effetti fondato su valide ragioni, nella sfera storico-culturale tale decisione risulta decisamente meno plausibile.
Diciamo la verità, i patrioti ucraini mai avrebbero pensato che la Crimea toccasse loro. Del resto, e qui permettetemi di arrivare all’attualità, quei patrioti che tanto si batterono fra ‘800 e ‘900 per la costruzione dell’Ucraina e per la sua indipendenza neppure speravano che tutte le terre austroungariche e zariste potessero infine riunirsi in un unico stato, ma così accadde fra Lenin e Stalin ed è questo processo che Putin rinnega nei suoi saggi e discorsi preinvasione e tanto più oggi.
In questo contesto si inserisce la battaglia russa per la Crimea, che si ammanta di nobili ragioni che vanno dal battesimo di Vladimiro, alla guerra del 1853-1856, all’eroismo di Sebastopoli, alle penne insigni che di Crimea hanno scritto in russo.
Si assiste all’ipostatizzazione di un passato che non passa, di cui si isolano cammei, dove risuona la reiterazione dell’aggettivo russo, russa, russità e così via, senza che si accenni alla presenza ucraina.

Alla luce del tormentato percorso di state-building che l’Ucraina ha attraversato questo non stupisce e si può con ragione asserire che di tutte le tradizioni culturali presenti in Crimea quella ucraina è la meno evidente, per molti anche la meno presente. Ma certo, dare conto di chi e che cosa fossero gli ucraini, nel quadro di assimilazione imperiale, prima zarista e poi sovietica, è impresa quanto mai ardua, anche volendo ripercorrere tutti i censimenti disponibili, in cui gli ucraini come tali non emergono. E il libro di Ferrari lo conferma.
p) Il fatto che l’Occidente – congiuntamente all’Ucraina – non riconosca la conquista e l’annessione della Crimea nel 2014 – come Ferrari ben rileva – non è, a mio avviso, una forma di russofobia o di ucrainofilia, ma è la considerazione, largamente condivisa a livello mondiale, che il violare i trattati internazionali che hanno regolato la transizione dall’Urss alle repubbliche post-sovietiche sia un’azione sciagurata, perchè, a parte ogni altra valutazione, mette in moto un effetto domino molto pericoloso in tutti i territori ex-sovietici.
q) E vengo all’unica critica a Ferrari o meglio all’editore.

Leggo sul sito di AISSECO la presentazione ufficiale del libro: “In epoca moderna e contemporanea due popoli hanno avuto al suo interno un ruolo fondamentale e in sostanza egemonico: dapprima i Tatari (dal 1441 al 1783), quindi i Russi (dal 1783 ad oggi con una interruzione tra il 1991 e il 2014)”.
Secondo me, in questa formulazione vi è il nodo da sciogliere: i russi sono tout court anche i sovietici, e quindi la Russia zarista, l’Unione sovietica e la Russia attuale sono lo stesso Paese e, soprattutto, si tratta della stessa etnia.

Ora, io approvo la ricostruzione fatta da Ferrari anche dello spinoso snodo del 2014, dove ben illustra l’espresso desiderio della maggioranza degli abitanti della Crimea di rendersi autonomi o indipendenti da Kyïv e penso che, se conquistare vuol dire controllare e mantenere, non vi sia una possibilità di riaffermazione dell’Ucraina in Crimea, perché anche se è alto lo scontento della componente ucraino-tatara per i risultati del referendum, quest’ultima non può offrire un sufficiente supporto per un efficace piano di ritorno all’Ucraina. Ma mi chiedo sempre se quei russi trionfanti in Crimea siano russi etnici o russofoni ex-sovietici: non è una domanda peregrina, poiché questa oscillazione è il pretesto per gli interventi passati e futuri del governo di Mosca.
E allora, la natura multietnica della Crimea che cos’è in definitiva? Un grande inganno in quello specchio rovesciato della propaganda bellica attuale?
So quale è per molti la risposta a questi interrogativi: il dado è tratto e come che sia la Russia ritiene di avere ragione, per una serie di motivi ben descritti da Ferrari. Ma al di là dell’Occidente e della sua reazione ostile all’annessione della Crimea, resta il fatto che il referendum è stato giudicato illegale dalla maggioranza dei Paesi all’Assemblea dell’ONU: su 193 Stati membri 100 hanno votato sì, 11 no e 58 si sono astenuti.

Ammetto che nulla conti davanti al solito diritto di veto del grande di turno, ma che quel referendum si sia svolto in modo provocatorio e poco trasparente è comunque vero e testimonia dell’incapacità di una grande potenza come la Russia di far valere le proprie ragioni tramite una qualche sorta di “soft power”. E questo è grave.

Giulia Lami, Università degli Studi di Milano

Author: Aisseco

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