Il Centro Ceco in collaborazione con AISSECO e le edizioni Paoline è lieto di inviarvi alla
presentazione del libro ” Io numero 1211″ di Dagmar Šimková
Centro Ceco in Via G.B.Morgagni 20, giovedi 13 febbraio alle ore 19.00.
La testimonianza di una vittima della brutalità e della follia umane ai tempi dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est: una storia cruda, ma anche ricca di poesia e speranza. Il libro – autobiografico – racconta la sconvolgente vicenda di Dagmar, giovane infermiera cattolica che, in un pomeriggio autunnale, è prelevata dalla sua abitazione da sei uomini, portata a Praga e poi incarcerata. Trascorrerà in carcere 14 anni. Fame, freddo, maltrattamenti, insulti, celle di correzione, anche solo per essersi rifiutati di lavorare di domenica; filo spinato, isolamento, baracche buie e scalcinate, sconforto. I prigionieri sono privati della propria personalità, senza un attimo di riservatezza, sempre sull’orlo della pazzia.
Quella di Dagmar è una storia intrisa di episodi di cruda violenza, da cui emerge la sofferenza della protagonista e di quanti sono stati come lei imprigionati, in quanto ritenuti dal regime comunista dell’Europa dell’Est dissidenti politici o rivoluzionari. Una storia narrata con realismo ma anche con accenti di vera poesia, tanto da trasmettere emozioni e speranza.
Scrive Alessandro Vitale nell’introduzione: “Se la testimonianza di Dagmar Šimková presenta una peculiarità di estrema importanza, è proprio la recisa negazione del carattere “umanitario” e “di giustizia sociale” di sistemi politici come quello nel quale si è trovata a vivere, che si sono ammantati per decenni di un umanitarismo infondato, ideologico e pretestuoso, negato alla radice, nella realtà della politica e fin dall’inizio, dal loro inscindibile legame (ed essendone l’espressione più compiuta e coerente) con lo statalismo integrale del Novecento. […] Il valore di questo libro sta proprio qui: mette il dito impietosamente e con impressionante crudezza, come non mai, in una piaga inguaribile, in una contraddizione insolubile, e formula un’accusa senza appello, quella del carattere anti-umano di quel regime”.
Dagmar Šimková
Nasce a Praga nel 1929 da una agiata famiglia della borghesia di Písek. Fervente cattolica, cresce in un ambiente culturalmente vivace e in seguito si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università Carlo di Praga per dedicarsi allo studio della storia dell’arte e della lingua inglese. Il colpo di stato del febbraio 1948 e l’avvento del regime totalitario comunista in Cecoslovacchia sconvolge la vita della giovane che, a causa dell’estrazione borghese della sua famiglia, è costretta a interrompere gli studi e trova lavoro come infermiera in un ospedale di Písek. Nel 1952 viene arrestata con l’accusa di tradimento e spionaggio ai danni del regime e condannata a una durissima pena detentiva. Nel 1966 viene liberata e poco dopo si trasferisce a Perth in Australia, dove riprende gli studi precedentemente interrotti. In seguito, nonostante la passione per l’arte, si dedica soprattutto alla cura dei più deboli, collaborando con Amnesty International e lavorando come assistente sociale e psicoterapeuta nelle carceri. Muore a Perth il 24 febbraio 1995.